Questa storia non è una leggenda, ma il racconto di un incontro speciale che ho avuto la fortuna di vivere in prima persona durante i miei anni giovanili.

A quel tempo, durante i miei solitari vagabondaggi autunnali nella Media Valtellina a caccia di funghi o di erbe officinali, mi capitava talvolta di indugiare lungo i borghi che punteggiano il versante retico, in quella parte di valle che da Sondrio conduce verso Morbegno.

Di quei dossi conosco da sempre ogni anfratto. Appena il mio lavoro me lo consentiva mi armavo di zaino e bastone e andavo vagabondando senza meta per boschi e vigne, ascoltando il respiro della natura, oppure seguivo per ore le tracce degli animali selvatici, o raccoglievo erbe selvatiche per farne sciroppi o decotti per la tosse e zuppe medicate.

Il racconto ci riporta dunque indietro di oltre vent’anni, in una giornata tiepida di fine ottobre, quando in Valtellina l’aria è carica dei succhi del mosto messo a fermentare in cantina. Quel giorno percorrevo la strada che dalla Maroggia sale verso Monastero quando, nei pressi della contrada Piasci, lasciai il mio cammino per sostare all’ombra di un grande castagno secolare, che i contadini del luogo avevano soprannominato Centòn.

Dovete sapere che il “Centòn dei Piasci” è quel che resta di un albero di dimensioni straordinarie, grinzoso e bitorzoluto, il cui tronco ha assunto, sotto il peso degli anni, una curiosa inclinazione a quarantacinque gradi, che lo fa somigliare un po’ ad un grosso pachiderma accasciato. All’ombra di questo castagno decisi dunque di sostare per alleviare la fatica del viaggio. Sentendomi accaldato, mi tolsi la giacca e la distesi ad asciugare al sole, poi mi appoggiai con la schiena al tronco millenario. Si era fatta intanto l’ora del desinare e dal mio zaino sdrucito trassi del pane di segale biscottato, un bel tocco di caséra e una fiaschetta di corposo Maroggia.

Il sole pallido di ottobre mi scaldava le spalle e il silenzio dell’aria era rotto soltanto dal masticare regolare delle mie mandibole. Il vento tra le fronde ormai rade del vecchio castagno diventò un sussurro, un bisbigliare sommesso che accarezzava le mie orecchie e che mi riportava alla memoria l’eco lontana di antichi racconti di valligiani e montanari. Mi resi conto che mi stavo assopendo, quando, improvviso, un fremito mi percorse la schiena come un lungo, potente brivido. Per un attimo mi parve che il vecchio castagno parlasse; udii distintamente una voce profonda, antica, uscire dal tronco dell’albero ansimando e sibilando come di chi ha i bronchi carichi di anni e di strapazzi.

Balzai in piedi, con il cuore che mi batteva forte in gola. Il vecchio castagno parve allora piegarsi verso di me, sorridere e scrutarmi dalle fronde con occhi invisibili. – Benigno, amico mio…Dimmi, sei tu? Sei tornato? – sussurrò il castagno con voce rotta dall’emozione. – Non…non è possibile! Tu parli? E chi è Benigno? – esclamai arretrando terrorizzato.

Nonostante siano trascorsi molti anni, ricordo ancora con precisione quell’istante: ero come paralizzato dallo stupore e dentro di me si accavallavano sentimenti diversi, dal timore alla commozione, ad un sensazione inspiegabile di riverenza, quasi stessi assistendo ad un evento sacro. All’udire le mie parole, il vecchio castagno parve sospirare e quando parlò di nuovo colsi nella sua voce stanca una nota di delusione.

– Scusa, sai, l’età gioca brutti scherzi! Per un attimo ti ho scambiato per un vecchio amico… Ho sentito la tua schiena appoggiata al mio tronco e poi, all’improvviso, quel profumo inconfondibile….dolce e corposo insieme: Maroggia del migliore, ottima annata, affinato a dovere! Roba da intenditori…..- bisbigliò il castagno, facendo schioccare labbra invisibili.

A quel punto il mio stupore si trasformò in curiosità. Fremevo dal desiderio di saperne di più e così, senza neppure far caso all’evidente paradosso della situazione in cui mi trovavo, continuai a conversare con il vecchio castagno e a pregarlo di raccontarmi la sua storia.

– Ti prego, parlami di te e dimmi di questi luoghi e dei tempi andati. Chissà quante ne hai viste, in tutti questi anni….-

Il vecchio castagno tossì, fece una lunga pausa come a rimettere in fila i pensieri, si schiarì quella sua voce profonda e antica, poi disse: – I contadini di qui mi chiamano Centòn, anzi “il Centòn dei Piasci”. Ricordo solo vagamente la mia età. Sono qui da così tanto tempo….. la memoria mi ha abbandonato e fatico non poco a ricordare la sequenza degli eventi. Ma ora ti prego, lasciami riposare, sono così stanco…… Se ti fa piacere puoi fermati in silenzio alla mia ombra e tenermi compagnia per un po’, come faceva Benigno nei miei giorni migliori… –

La curiosità si era fatta talmente acuta da togliermi il respiro, così non mollai la presa. – Dunque Benigno si riposava alla tua ombra, Centòn? E che ci faceva qui, fuori dal mondo, in una contrada sperduta come Piasci?

Il vecchio castagno, a quel punto, prese ad agitarsi e a scuotere le fronde, innervosito. – Da dove arrivi mai, giovanotto? Devi sapere che Benigno era un famoso predicatore, oltre che una gran tempra di camminatore. Predicava tra Monastero e la Maroggia e quando passava di qui non dimenticava mai di fare una sosta alle cantine dei Piasci e di gustare un sorso di Maroggia. Mi pare ancora di vederlo, sai, seduto all’ombra delle mie fronde, con il gran cappello impolverato e  con l’immancabile ciotola di vino tra le mani….. Era bello discorrere con lui, lasciarsi cullare dal suono della sua voce e farsi inebriare dal profumo dolce e corposo sprigionato da quel vino che dava vigore e faceva venire voglia di cantare…. Passai molti pomeriggi felici in sua compagnia! Con gli anni Benigno si fece canuto e rinsecchito, mentre io crescevo forte e vigoroso. Quando sentì che la sua fine si stava avvicinando, Benigno volle farmi un regalo, a ricordo della nostra lunga amicizia e dei tanti pomeriggi passati all’ombra delle mie fronde. Devi sapere che, all’epoca, Benigno aveva già fama di Santo tra i contadini di qui. Mi chiese dunque di poter esaudire un mio desiderio prima della morte, che sentiva ormai imminente. Tra le lacrime gli risposi di non avere altro desiderio se non di poter continuare a conversare con lui nei caldi pomeriggi estivi. Ma Benigno insistette e così, alla fine, trovai il coraggio e gli dissi cosa avrei desiderato maggiormente… Rivedo ancora i suoi occhi buoni illuminarsi alla mia richiesta e quel suo bel sorriso allargarsi in una gran risata. Benigno mi accarezzò lungamente il tronco con la mano avvizzita, poi mi sussurrò: – Ti concedo volentieri quanto mi hai chiesto, ma tu promettimi di stare sempre allegro e di continuare a cantare come abbiamo fatto in tutti questi anni, Centòn! Col tuo canto innalzerai ogni giorno lodi al Dio del Creato, così che i contadini si ricordino di seguire le vie del bene, come ho insegnato loro durante il mio passaggio in questo mondo! –

Il castagno fece un’altra pausa, prima di completare il suo racconto. – Per diverse stagioni feci come mi aveva detto Benigno. Ogni giorno mi facevo più vigoroso e non tralasciavo mai di cantare tra le fronde e di rinnovare agli uomini il ricordo del caro Santo. Purtroppo le cose belle non durano mai a lungo! Di colpo montò tutto il polverone dei furti nelle cantine, vennero alzate e rimosse le botti e i bambini furono chiusi in casa per timore di chissà quale diavoleria. Che peccato! – concluse tristemente il vecchio castagno. – Cosa vai dicendo, Centòn? Furti? Botti rimosse? Magie? Qui a Piasci? Non riesco a crederci, certo la memoria ti sta giocando nuovamente uno scherzo…. –

Ma il vecchio castagno appariva tremendamente serio. Dopo molti sospiri riprese a raccontare. – Quando i contadini si accorsero che il vino calava misteriosamente nelle botti delle cantine qui vicino cominciarono dapprima a temere un sortilegio, poi ad accusarsi l’un l’altro di furto. Andò avanti così per un po’, fino a quando gli uomini decisero di fare un ultimo tentativo e di sollevare le botti dal pavimento, per verificare se ci fossero delle perdite dal legno. E così scoprirono tutto e per me fu la fine della gioventù! Da quel giorno basta canti e stormire di fronde e basta lodi a Dio!-

Nell’aria aleggiava un silenzio carico di aspettativa. Ero letteralmente allibito e il mio cervello girava a mille, nel tentativo di non perdere il filo della spiegazione. – Come hai detto, scusa, Centòn? Cosa faceva calare dunque il vino nelle botti? – chiesi al vecchio castagno, mentre un vago sospetto si faceva largo dentro di me. – Ma le mie radici, giovane amico, che per intercessione di San Benigno si erano allungate fino ad arrivare alle cantine e ad insinuarsi sotto il pavimento di terra battuta, proprio dove si trovavano le botti del Maroggia. Era questo il mio desiderio: poter godere di un po’ di quel nettare, di quel dolce succo divino, a gloria di Dio e in ricordo di San Benigno….-

Il vecchio castagno tacque. Vidi le ombre della sera allungarsi e il sole diventare una palla di fuoco e calare dietro le cime delle Orobie.

Salutai il mio amico, promettendogli che, come Benigno, sarei tornato a trovarlo molte e molte volte ancora. Per lungo tempo non parlai con nessuno del mio incontro con il “Centòn dei Piasci” e quando infine mi decisi a farlo, molti anni dopo, ovviamente nessuno mi credette.

Negli anni successivi tornai molte volte a trovare il vecchio castagno ed ogni volta non scordavo di portargli un piccolo dono, ben tappato in una fiaschetta dentro lo zaino. Ora sono anziano e non so quanto tempo mi resterà ancora da vivere. Per questo motivo ho deciso di raccontare questa storia.

Quindi, se mai vi capiterà di passare per i Piasci, sulla strada che da Maroggia sale al Monastero, vi prego di fermarvi un momento a far compagnia al vecchio “Centòn dei Piasci”. E se vi tornasse alla mente questa piccola storia e desiseraste vederlo sorridere come faceva ai tempi di Benigno, beh… sappiate che un goccio di buon Maroggia può fare miracoli!

Source: In Valtellina

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